Cenni Storici

Sotto il nome di “Paludi Pontine” e con quello odierno di Agro Pontino si intende il territorio compreso fra i Monti Lepini e gli Ausoni, il Mar Tirreno e il promontorio del Circeo. Un territorio che si estende fin verso Roma, senza un confine fisico ben definito che distingua l’Agro Pontino dall’Agro Romano, anche per le caratteristiche geologiche e fisiche del suolo; comunque come limite, puramente convenzionale, tra l’Agro Romano e l’Agro Pontino si può considerare il corso inferiore e medio del Fiume Astura e una linea immaginaria che, partendo dai piedi della collina su cui sorge Cori, all’altezza di circa 120 m sul livello del mare, e mantenendosi su questa quota, si spinge fino ai piedi dell’altura su cui è posta Lanuvio.

In tempi non precisabili nei quali la preistoria si fonde con la leggenda, troviamo già le “paludi Pontine” coronate dalle sue vetuste città: Sezze, il cui nome sembra risalga a Ent Dio dei Pelasgi; Terracina, che ebbe il suo nome da genti venute dalle pendici del Tamo, Raseni o Tyrraseni; Norma, l’antica Norba che Livio descriveva come la roccaforte a guardia dell’Agro Pontino, fedelissima a Roma, e che conserva tracce di vita che si riferiscono ai primi albori della civiltà umana, nonché vestigia di mura ciclopiche.

I moderni poi affermano che le “palude Pontine” furono abitate dal “Paleantropus” o “homo primigenius” oltre 300.000 anni orsono.

Circa l’origine geologica diverse sono le teorie ed i pareri degli esperti; comunque si può ritenere che la più antica formazione della regione pontina è da riferirsi al periodo dell’infrs-lias (150 milioni di anni fa) dell’epoca secondaria.

Nel primo periodo di formazione si ebbero il sollevamento dei Monti Lepini e poi del Circeo (di origine diversa dalle Isole Pontine); a questo sollevamento seguì quello della panchina costiera estesa da Capo Astura al Circeo e da quest’ultimo a Terracina, con l’inclusione della “Laguna Pontina”.

Dopo il terziario (6 milioni di anni fa) l’Agro Pontino cominciò la sua lenta formazione con il riempimento dello spazio compreso tra la montagna e la panchina costiera e, per effetto del vento e del mare, si costituì anche un cordone litoraneo che dette origine agli attuali laghi (Fogliano, Monaci, Caprolace e Paola).

Nel periodo della trasgressione pliocenica (3-4 milioni di anni fa) durante il quale il mare invase di nuovo vaste plaghe delle coste italiane, anche l’attuale Agro Pontino andò sommerso. Mentre nel quaternario antico (500.000 anni fa), in quasi tutta la penisola la terra, in conseguenza di un sollevamento, acquistò spazio sul mare, nell’Agro Pontino invece il fenomeno non ebbe luogo o cominciò con un forte ritardo, per cui tutta la zona rimase in parte invasa dalla acque.

Il motivo principale per cui l’Agro Pontino è rimasto per secoli impaludato è dato dalla impossibilità di naturale deflusso a mare delle acque, sia meteoriche che sorgive (abbondantissime queste ultime ai piedi dei monti), nonché la giacitura dei terreni, alcuni dei quali sotto il livello del mare e gli altri poco al di sopra dello stesso.

Sulla base delle antiche carte geografiche della regione pontina è possibile rintracciare e seguire le diverse trasformazioni subite, attraverso i secoli, dalle “Paludi Pontine”, anche se il materiale cartografico della zona, pervenuto ai nostri tempi, è molto scarso e impreciso e le varie carte contrastanti tra loro.

Dalle carte del XV secolo l’elemento più interessante che appare è la rappresentazione di un lago interno, secondo l’asse della pianura, nel quale si gettano due corsi d’acqua provenienti dai Lepini settentrionali; questa figurazione, che probabilmente ricorda uno stato di cose anteriori al XV secolo, non si trova più nelle carte del secolo successivo, nelle quali, infatti, non troviamo che indicazioni generiche di uno o due corsi d’acqua che si gettano in mare tra l’Astura e il Circeo. In altre, infine, come per esempio nella grandiosa carta dell’Europa del Mercatore del 1554, manca ogni rappresentazione idrografica.

Inesatte anche le carte del Ligorio (1557), del Cluverio, del Cingolani, del Muratori; lo stesso può dirsi della carta del Lazio annessa alla “Notitia antiqui” di Cristoforo Cellarius (1638÷1707), nella quale la regione era raffigurata in modo sommario e con poca esattezza.

Si può affermare che, stando a quanto pervenuto sino a noi, la conoscenza della regione pontina era molto imprecisa allorché Sisto V pose mano ai grandi lavori idraulici diretti da Ascanio Fenizi (1585÷1590).

Due carte successive rendono con efficacia lo stato della palude prima della bonifica di Pio VI, quella del Ghigi del 1778 e quella del Salvati del 1795; in ambedue risultano interessanti le rappresentazioni delle zone invase permanentemente da acque palustri, quelle normalmente inondate all’epoca delle piogge e quelle invase soltanto occasionalmente.

 

Interessantissima poi la pianta dell’Astolfi, in ottima incisione in rame, che ha tutti i caratteri di una carta topografica, esatta anche nei minimi particolari.

ASTOLFI 1785
ASTOLFI 1785

Uno dei gioielli cartografici, strumento base ed efficace che contribuì alla rapida esecuzione della bonifica e che nel settennio 1928÷1935 portò alla trasformazione completa e definitiva dell’Agro Pontino, è il rilevamento topografico dei due Consorzi di Bonifica (quello della Bonificazione Pontina e quello di Latina, ex Piscinara) eseguito da speciali squadre dell’Istituto Geografico Militare di Firenze su iniziativa presa dagli ingegneri Prampolini e Pancini.

La carta era in scala 1:5.000, con un interspazio tra le curve di livello di soli 50 cm. Purtroppo detta carta, a seguito degli aventi bellici del 1940÷1945, è andata distrutta.

Gli stessi dati contrastanti che appaiono nelle antiche carte risultano anche nella storia delle “Paludi Pontine”.

Dionigi di Alicarnasso (I secolo A.C.) nelle “Storie Scritte” in momenti diversi della sua vita, una volta descrisse la zona come “una distesa di terreni permanentemente paludosi” e in un’altra affermando che la pianura pontina era in una “ottima posizione”.

Anche le notizie che ci riporta Tito Livio sono contrastanti allorché riferendosi al 405 A.C. affermano che nella zona esistevano già da tempo paludi, ma poi riferisce quanto segue: “si dice che in quel luogo (Agro Pontino) fiorissero un tempo 23 città”.

Certo è che i Volsci, con un sistema di drenaggio a base di cunicoli rimasti celebri e forse insuperati, erano riusciti ad assicurare la disciplina delle acque per cui la zona divenne prosperosa e fertile (V VI secolo A.C.).

Questa constatazione fa sorgere spontaneamente la domanda: quando è iniziato l’impaludamento? Su questo punto la storia ci illumina assai poco. Plinio attribuisce il comparire della palude ad un fenomeno improvviso verificatosi nell’anno 314 A.C.. Nel 312 A.C. il censore Appio Claudio iniziò la costruzione di quella Via Appia che fu chiamata “regina viarum”, segnandone il tracciato in linea diretta su luoghi dove in tempi più vicini troviamo le paludi.

Nel 182 A.C. il console Publio Cornelio Cetego fece eseguire alcuni lavori di prosciugamento: quindi anche il graduale impaludamento della regione è avvenuto tra la censura di Appio Claudio ed il consolato di Cetego. Il primo disegno di restituire a nuova vita “le paludi Pontine” risale a Cesare, e ce ne danno notizia Plutarco come storico e Cicerone, allora nemico di Cesare, come critico, che pose quasi in ridicolo il dittatore per aver vagheggiato detta idea.

Augusto, Nerone, Domiziano, Nerva, Traiano affrontano ciascuno con maggiore o minore impegno il problema di risanamento della paludi, ma tutti con scarsi risultati. Doveva toccare ad un principe barbaro, Teodorico, riuscire a prosciugare le paludi e di ciò si hanno numerose notizie, le più autorevoli delle quali sono di Cassiodoro e di Procopio.

Se non ci è dato di conoscere il tempo preciso dell’attuazione della bonifica durante il regno di Teodorico (493÷520), sappiamo da eventi successivi e testimonianze che nell’alto Medio Evo il terreno recuperato era già preda delle acque.

Giungiamo poi attraverso il tempo all’incoronazione di Carlo Magno in San Pietro e la donazione fatta alla Sede Apostolica di vasti domini fra i quali appunto quello delle “Paludi Pontine”. Da quest’epoca il territorio passa nelle mani dei pontefici romani.

Il primo nome di pontefice che troviamo ricordato nella storia della bonifica pontina è quello di Martino V, che pontificò dal 1417 al 1431; ma egli entrò nella storia soltanto per un equivoco dovuto al fatto che si dava e si dà ancora il nome di “Martino” ad un canale scorrente nel territorio pontino; si diede, pertanto, il merito dell’escavazione del letto di tale canale al pontefice, ma si sa con certezza che il Rio Martino esisteva già, come risulta da uno scritto di Gregorio VI.

I pontefici che si susseguirono fino a Leone X non si interessarono del problema pontino o per lo meno lo fecero in modo molto superficiale; Leone X (1513÷1521), invece, desideroso di legare il suo nome a grandi opere, fu il primo papa che abbia concepito un grandioso disegno di bonificare la palude. Il Pontefice affidò l’incarico a suo fratello Giuliano de’ Medici disponendo che gli fosse concessa, a titolo di donazione, tutta la pianura che sarebbe stata liberata dalle acque.

Trattando della storia delle paludi in tale periodo risulta di estremo interesse accennare ad un progetto, pressoché ignorato dai più, legato al nome ed al genio del grande Leonardo da Vinci, come riportato dagli “studi vinciniani” di Edmondo Solmi. E’ stata anche trovata una carta manoscritta di Leonardo Da Vinci riproducente l’Agro Pontino con il tracciato delle due opere fondamentali che si dovevano fare, e cioè l’ampliamento e la sistemazione del Rio Martino e del Portatore. Attraverso alterne vicende, i lavori proseguirono con il risultato di far emergere finalmente terre sommerse da secoli; ma, quando sembrava ormai  vicino a portare a compimento con successo l’impresa, Giuliano de’ Medici morì (1516).

Lo stesso Leone X morì prima che l’opera fosse compiuta, ma l’impresa, anche se non ultimata, fu veramente proficua non soltanto per i risultati duraturi che conseguì in quella parte della regione dove furono eseguiti i lavori, ma soprattutto perché dimostrò come il prosciugamento delle “Paludi Pontine” non fosse opera impossibile. I successori di Leone X, da Adriano VI a Gregorio XIII, si occuparono minimamente della palude fino a quando Sisto V (1585÷1590), uno dei pontefici forse più energici, risoluti ed animosi che la Chiesa abbia avuto, concesse i terreni pontini ad Ascanio Fenizi che si offriva di prosciugare la palude a proprie spese.

La prima opera fu di approfondire il fiume Antico e riaprirne la foce: l’esito di questa opera che prese il nome di fiume Sisto fu così felice che, a compimento del terzo anno, i concessionari furono largamente compensati dei loro lavori.

Il Pontefice, entusiasta, l’11 ottobre 1589 volle visitare la zona, ma il 29 agosto 1590 Sisto V moriva di malaria. Subito dopo, per motivi non chiari, la bonifica languì e l’acqua tornò a dilagare.

Annose questioni legali fecero fallire i vari tentativi di bonifica; molti stranieri (Nicolò Cornelio Witt, Nicola Vanderpellens, Cornelio Meyer, Ottone Meyer ed altri), continuarono ad interessarsi senza risultati della bonifica della palude. Si arrivò così all’epoca di Pio VI (1755÷1799).

La sua opera può definirsi grandiosa se si tiene conto dei mezzi di cui disponeva il suo ideatore; ancora oggi, l’elemento maggiore dell’impresa, il Linea Pio, assolve benissimo la sua funzione.

Nel 1777 Pio VI incaricò il Rappini ed il Benelli di affrontare il problema del prosciugamento delle paludi, ricercando prima di tutto le cause delle inondazioni, poi studiando i mezzi per il risanamento e calcolarne la spesa.

La relazione fu sottoposta poi all’esame di due valenti ingegneri bolognesi, il Boldrini e lo Zanotti, e fu approvata incondizionatamente; Pio VI allora non frappose indugi per l’inizio dei lavori e decise che gli stessi venissero eseguiti per conto ed a spese della Camera Apostolica.

I lavori furono iniziati nell’autunno del 1777 con lo scavo di un nuovo canale che, in onore del Pontefice, venne chiamato Linea Pio.

Nel 1790 Pio VI, che si era recato a visitare i lavori, poté constatare come molti terreni fossero già liberati dalle acque e dispose che tali terre venissero concesse in affitto al Rappini, direttore dell’impresa, nell’intento di ovviare alle questioni che potessero essere sollevate dai proprietari.

Per quanto riguarda i particolari tecnici dell’opera di Pio VI, si può dire che coloro che vennero preposti all’esecuzione, tesaurizzando l’esperienza degli antichi “bonificatori”, si proposero di allontanare il più possibile le acque della pianura; si provvide all’apertura di piccoli canali denominati “Fosse Milliare” (perché distanti tra loro un miglio) per lo scolo dei terreni che ricevevano unicamente acque meteoriche.

Assurto al dominio d’Europa, Napoleone intuì la necessità di proseguire i lavori iniziati e condotti da Pio VI e, pertanto, nel 1810 nominò una commissione con il compito di esaminare e di proporre tutto ciò che potesse contribuire al miglioramento dell’Agro Pontino. Fra questi studi pregevolissima è l’opera del De Prony (Parigi 1818 - Disciption hidrographique ed historique des Marais Pontins) dalla quale si rileva che, per attuare tale impresa, fosse assolutamente necessario ricorrere ad un sistema di canali pur riservando, per alcuni terreni, il metodo delle colmate, metodo che alcuni volevano adottare come mezzo principale (Conte Fossombrone).

Pio VII continuò ad interessarsi dell’Agro Pontino. Pio IX, salito alla cattedra di San Pietro il 16 giugno 1846 (morì nel 1878), si propose immediatamente il problema della bonificazione pontina e riuscì a far costituire un “Consorzio degli enfiteuti” nel 1861, istituendo il Consorzio della Bonificazione Pontina.

I risultati ottenuti dalla “bonificazione pontina” fino al 1870 non furono trascurabili; su 19.000 ettari sottoposti a bonifica circa 10.000 furono, infatti, resi permanentemente asciutti, e circa 7.000 ettari rimanevano sommersi soltanto nella stagione invernale. Bisognava anche riconoscere che la malaria, la quale regnava nelle sue forme più gravi in tutta la zona colpendo inesorabilmente coloro che si avventuravano “nella palude”, diminuì, favorendo l’incremento di alcuni paesi quali, ad esempio Terracina; l’agricoltura, infine, per quanto primitiva, conseguì un notevole risveglio.

Dal 1870 in poi ben poco fu fatto, tanto più che le varie leggi promulgate nel frattempo non ebbero pratica applicazione; fu così per la legge Beccarini (1882), per quella Genula (1886) e per quella del 1889.

Nel 1900, finalmente, il Parlamento approvò il testo unico sulla bonificazione delle terre paludose, che ribadiva il concetto, a suo tempo espresso, che le opere di bonifica dovessero essere eseguite con il concorso dello Stato.

Si registra subito dopo la prima guerra mondiale il primo studio organico per la bonifica dell’Agro Pontino, quello eseguito nel 1918 dall’Ing. Marchi del Genio Civile di Roma: a seguito di tale studio, le paludi pontine furono divise in due aree, una appartenente all’esistente Consorzio della Bonificazione Pontina, in sinistra del fiume Sisto, e l’altra appartenente al nuovo Consorzio di Bonifica di Piscinara, istituito proprio in quell’anno (poi diventato Consorzio di Bonifica di Littoria e poi di Latina), che si sarebbe interessato dei terreni in destra idraulica del fiume Sisto.

CARTA MARCHI 1918

CARTA MARCHI 1918

 

Il progetto Marchi era basato sulla separazione delle acque ed è di notevole importanza anche perché i criteri informatori dell’attuale bonifica non sono che l’applicazione pratica dello studio in questione; punto fondamentale di questo progetto, oltre che quello della separazione delle Acque Alte dalle Medie, e di queste ultime dalle Basse, è l’aver previsto il prosciugamento meccanico, mediante idrovore, dei terreni che non potevano scolare naturalmente.

Il nuovo Ente (il Consorzio di Bonifica di Piscinara), sulla base del progetto Pancini-Prampolini, realizzò la separazione delle acque costruendo, tra l’altro, il grande canale delle Acque Alte, poi comunemente denominato Canale Mussolini.

In quegli anni si verificò un’evoluzione del concetto di bonifica, come si rileva nei contenuti della Legge Serpieri  sulla bonifica integrale del 1933 (il Regio Decreto 13 febbraio 1933 n. 215), che ha introdotto il concetto di bonifica integrale, che si poggia sulla contemporanea realizzazione di:

  • la BONIFICA SANITARIA affidata prima alla Croce Rossa Italiana e poi all’Istituto Antimalarico Pontino;
  • la BONIFICA IDRAULICA affidata ai due Consorzi di Bonifica operanti nel territorio;
  • la BONIFICA AGRARIA affidata all’Opera Nazionale Combattenti, istituita nel 1917.
CARTA BONIFICA INTEGRALE  1939

CARTA BONIFICA INTEGRALE 1939

Lo schema tecnico che fu adottato per la realizzazione dell’opera dal punto di vista dell’ingegneria idraulica, è basato sul concetto sopra richiamato della “separazione delle acque”, secondo i dettagli qui di seguito descritti:

  • difesa del comprensorio dalle acque alte esterne provenienti dai bacini montani sovrastanti (ACQUE ALTE) , mediante la realizzazione di apposite canalizzazioni;
  • convogliamento a mare delle copiose sorgive sgorganti lungo la linea perimetrale pedemontana, nonché degli apporti meteorici di tutte le zone del comprensorio di quota media che comunque possono scolare per gravità (ACQUE MEDIE);
  • esaurimento, mediante sollevamento meccanico degli apporti meteorici e delle sorgive, delle zone interne depresse, che fanno registrare una superficie complessiva di circa 20.000 ettari (ACQUE BASSE).

Con il passare degli anni, i terreni, come previsto, hanno subito un “calo”. Contemporaneamente si sono manifestate e si manifestano, con il continuo progredire degli ordinamenti colturali (nel quale si ravvisa d’altronde il successo della bonifica), crescenti esigenze di franco e di sicurezza di scolo alle quali si aggiunge la necessità di effettuare appropriati interventi manutentori al fine di garantire l’efficienza delle macchine installate negli impianti idrovori e del sistema scolante.

La seconda guerra mondiale trovò il territorio dell’Agro Pontino che era stato appena bonificato.

All’interno del territorio erano state realizzate, dopo la bonifica, cinque “Città Nuove”: Littoria (Latina) nel 1932, Sabaudia nel 1934, Pontinia nel 1935, Aprilia nel 1937, Pomezia nel 1939; quattordici Borgate Rurali realizzate dall’O.N.C. e circa cinquemila poderi realizzati sempre dall’O.N.C., dalle Università Agrarie di Sermoneta, Cisterna e Bassiano, nonché dai privati.

Le distruzioni belliche furono devastanti, oltre ai sabotaggi ed alle asportazioni di macchinari da parte delle truppe tedesche, anche perché il fronte di Anzio investì il territorio di bonifica tra Borgo Podgora e la città di Aprilia.

Cessata la guerra, dopo un primo periodo di attività intesa alla ricostruzione e riparazione delle opere distrutte e danneggiate dagli eventi bellici, i Consorzi ripresero il loro compito di esecutori di opere pubbliche su concessione dell’ex Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, della Cassa per il Mezzogiorno e, da ultimo, della Regione Lazio.

Oggi, si può considerare portata a compimento la definitiva sistemazione idraulica del comprensorio, salvo qualche ulteriore intervento complementare e di adeguamento.

All’incentivarsi del progresso agricolo si è accompagnata, oltre all’imponente incremento della popolazione, una generale evoluzione in tutti gli altri settori, ivi compresi quelli dell’industria e del terziario.

Copia di Sede_Consorzio_026

Sede di Corso Matteotti a Latina

Con atto del febbraio 1996 i due Enti consortili (Consorzio della Bonificazione Pontina e Consorzio di Bonifica di Latina) sono stati unificati sotto la denominazione di Consorzio di Bonifica dell'Agro Pontino.

 

 

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